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PianiAlti - AltiPiani (open space)

di Karin Cavalieri

Ritengo che il titolo della mostra sia un suggestivo gioco linguistico, pregno di rimandi all'opera di Annamaria Targher.
Piani alti evoca l'ultimo piano del palazzo che ospita la Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri: esso è un ambiente di lavoro. Da questa prima parte del titolo si ricava il primo intreccio con l'operato di Annamaria. Le sue tele sono frutto di un intenso lavoro psico-fisico: psichico in quanto sono una ricognizione sul sé; fisico in quanto la sottesa gestualità necessita di uno sforzo fisico, che a volte tramuta in una lotta con il colore, con lo spazio della tela, ma anche con le sue idee.
Anche le Capre evocano tiepidamente i travestimenti che tutti mettiamo in atto nella vita lavorativa: tacchi, labbra rosse, unghie laccate di rosso (in Carta Atterrita evocate da un immagine di fragole rosse) e svolazzanti gonne da riviste patinate.

L'impianto formale ricorda le armonie e disarmonie quotidiane: discorsi concitati tradotti in tele satolle di colore ( Ninfee ) o altri più misurati ove il silenzio genera attesa (in alcune Capre il colore del supporto è una voce silente, un inaspettato ossimoro).

Il sottotitolo evoca l'open space del palazzo che riflette allegoricamente lo spazio artistico in cui Annamaria crea; uno spazio i cui confini slittano verso l'esterno attraverso una ricercata tridimensionalità e poli - matericità. Le opere acquistano spessore per mezzo della tessitura (Annamaria interviene sopra, dentro e sotto la tela), ma sono adornate anche da cocci di realtà: frammenti di giornali, oggetti avulsi dal contesto pittorico e attinti dal mondo materiale. Esse invadono lo spazio del fruitore, per questo possono essere considerate uno “spazio aperto”.

L'open space si fa interprete della trasparenza della comunicazione negli ambienti di lavoro della sede della Magnifica, non scanditi da pareti, ma da lievi divisorie. Ciò riflette anche la trasparenza dell'artista, che si espone, si racconta e con coraggio, esce allo scoperto attraverso l'arte. Le opere sono infarcite di riferimenti autobiografici: Giovanni incarna l'attesa, un sentimento (in Io che aspetto Giovanni , 2009, olio e pastello grasso su tela, cm 150x18, e Io che aspetto Giovanni II , 2009, olio, sabbia, pastello grasso e collage su tela, cm 151x183,5), le Capre sono un emblema nella storia culturale e personale.

L'allestimento stesso agevola la visione d'insieme sulle sfaccettature del macrocosmo sensibile di Annamaria. Non nega se stessa, l'arte diviene espressione di sé, veicolo della propria conoscenza sensibile.

Noi in mostra abbiamo il privilegio di sostare tra le trame del suo sentire.

 

Karin Cavalieri

 

 

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