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Proliferazioni

di Karin Cavalieri

Annamaria Targher presenta una serie di tele, Flowers, rivolte allo stesso soggetto: le ninfee. Avviata nel 2010, questa produzione annovera ben ventiquattro pezzi che interpretano le variazioni cromatiche su un unico motivo. Nelle prime fasi la ninfea è integrata nel contesto, l'acqua che la sospende e la avvolge o travolge, da Ninfee VII (il numero romano assegnato dall'artista alle sue opere indica le fasi della loro gestazione) trasmuta e acquista importanza rispetto al luogo, destinato perciò a divenire puro sfondo cromatico, mero interagente col soggetto.
Studiando le Ninfee di Annamaria Targher balza alla mente la vastissima produzione di opere seriali, dedicate alle ninfee nel bacino di Giverny, del grande maestro dell'impressionismo, Claude Monet. Entrambi rimangono catturati dallo stesso fiore, pretesto per rimettere in discussione i preconcetti sulla forma.
Cos'è la forma? Dalla radice etimologica del termine forma si giunge al greco Phòrein che significa portare, ovvero l'azione di portare per sembiante; per esteso essa è un modello per dare alla materia una figura determinata.
Claude Monet (pur essendo guidato dalla visione pleineristica della realtà, affermava: «Io posso disegnare solo quello che vedo») nella produzione finale, consacrata alle ninfee, supera gli ideali dell'Impressionismo stesso. La visione del giardino viene talmente interiorizzata che la distanza fra memoria e osservazione risulta quasi abolita, pur continuando a realizzare gli studi dal vero. Quale destino sottoporrà alla forma? La materia pittorica s'ispessisce, le pennellate s'allungano, lo spazio, pur frantumato, rimane una segreta struttura dell'immagine: la figurazione così deformata oscilla nell'indistinto, pertanto la forma trascendere la funzione di essere un possibile modello di traduzione della realtà.
A.T. avvia la sua ricerca da orizzonti lontani dal dato reale. Il suo pennello trascrive inattese intuizioni mentali che soverchiano la sua stessa volontà, nella fase iniziale del concepimento dell'opera. In seguito però tale caos di sapore surrealista viene calibrato e cede il posto ad un apollineo processo di costruzione dell'opera. In questa fase emergono spunti di realtà, accenni di ninfee, sistemati con sensibilità formale.
Perché proprio le ninfee? Forse perché sono fiori inscindibili dallo specchio d'acqua riflettente che consente all'artista di liberare la pennellata in continui vortici ed ottenere effetti, non più luministici come nelle tele impressioniste, bensì cromatici e gestuali? In Ninfee (Canneto) le rapide pennellate sembrano risucchiarsi parvenze di realtà in intrecci isolati che in Ninfee II si fanno sempre più persistenti fino a dissolversi in linee curve bianche che dinamizzano la visione in Ninfee III . In queste tele la linea prende il sopravvento sulla forma che subentra invece da Ninfee VI ; A.T. la costruisce e la itera: appaiono le ninfee!
Ormai redenta dalla funzione di preservare la realtà, la ninfea oscilla tra il dato reale e la sua interiorizzazione in entrambe le produzioni.
Kandinsky, nel 1896, vide un'opera di Claude Monet, della serie dedicata ai covoni, in una esposizione a Mosca e, non riuscendo a definire il soggetto del quadro, comprese che le possibilità del colore erano immense. Da questa osservazione egli trasse spunto per liberare la propria sensibilità, diventando il padre dell'Astrattismo moderno.

« La pittura ne ha tratto una forza e una luminosità straordinarie. Inconsciamente però, anche l'oggetto in quanto elemento indispensabile del quadro ne fu screditato. […] Mi chiesi… perché un pittore non potrebbe andare oltre Monet e dipingere liberamente, senza vincolo alcuno da parte dell'oggetto? » (Vasily Kandinsky)

Mentre l'artista francese dissolve soggetti e tridimensionalità, giungendo ad esiti sempre più materici e gestuali – a tal punto che alcuni storici desumono uno stile informal ante litteram in alcuni suoi brani di paesaggio - Annamaria Targher dona spessore alle apparenze, introducendo da Ninfee VII in poi l'elemento semantico della sgocciolatura. Con la tela sistemata su pannello fisso verticale attende e veicola, tramite cancellature, il corso della goccia che entra ed esce dai fiori, ritmando e riempiendo lo spazio stratiforme delle ninfee. La sgocciolatura fluente dall'alto verso il basso non taglia le ninfee, ma dona loro un habitat gestuale. Tali interventi, come nelle tele di Emilio Vedova, sono tutt'altro che destinati alla sola casualità. La sgocciolatura emancipa il colore dalla ricostruzione della realtà; così liberato, esso acquista una forte identità semantica e volumetrica e supera il suo destino bidimensionale sulla superficie della tela.

Nel processo creativo delle Ninfee A.T. rivela un approccio dicotomico che culmina proprio nella colatura: qualcosa sfugge dai suoi intenti e qualcosa governa. La stessa afferma a tal proposito:

«questa lotta con la colatura che mi piaceva per la sua libertà ma che volevo anche poter gestire, mi ha letteralmente sconvolto. […] Il fermare la colata è come la rimozione di un episodio che turba per le sue semplicità e naturalezza: la pulizia della tela dalla colata è come indotta da un senso di colpa per qualcosa che si ama ma che ancora mi sfugge».

Le ninfee paiono allora una fragile e preziosa barriera che a volte fuorvia, a volte concede affascinanti e intricati universi interiori.

Karin Cavalieri

 

 

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